mercoledì 12 dicembre 2012

Cosa Comprare, non Cosa Succede

Nella sezione Comunicazione e Media dell'ultimo Rapporto Censis (via), la Tabella 1 mostra i dati sull'evoluzione del consumo dei media in un periodo di osservazione di cinque anni (dal 2007 al 2012).

Alla pagina 9 del documento si legge che gli italiani, nell'ultimo anno, hanno acquistato un prodotto o un servizio grazie alla segnalazione pubblicitaria vista in televisione (24%), sul web (il web advertising è stato driver decisionale all'acquisto per il 13.6% degli italiani), sui Giornali (11.9%) e Riviste (9.9%) e la Radio (6.2%).

Colpisce che, per il canale fatto da giornali e riviste - che globalmente, nell'ultimo anno, perde 14 utenti su 100 (ho messo insieme quotidiani a pagamento, free press, settimanali e mensili che ho inteso essere offline) -  le performance in termini di influenza di acquisto siano confrontabili con quelle di un altro canale, Internet, che, invece, complessivamente guadagna ben 9 utenti.
Insomma, i giornali e le riviste calano ma le inserzioni pubblicitarie continuano ad avere la loro efficacia: più pubblicità che informazione!




Ammesso che l'aggregazione che ho fatto dei dati sia consistente (in rosso, verde e blu, ci sono gli old broadcaster, presi tutti insieme indistintamente rispetto al mezzo; in fucsia internet che dovrebbe includere anche Radio e Quotidiani online, opportunamente lasciati fuori nei tre raggruppameti precedenti), sarebbe interessante chiedersi il motivo di questo fenomeno. Per esplorarlo meglio, occorrerebbe sapere quanto locali siano i giornali e le riviste e se c'è un nesso tra concentrazione geografica di utenza e performance della pubblicità. Occorrerebbe poi anche indagare su quanto questo tipo di indicazioni possano incidere sulla scelta (tanto degli Editori, quanto degli Inserzionisti) dei modelli di business per l'Editoria.

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Per completezza riporto delle riflessioni aggiuntive, sempre riferite alla Tabella 1, fatte nello scorso mese di Ottobre, quando Prima Comunicazione aveva già anticipato i dati.

Il dato che sorprende è la flessione dell'utenza dei quotidiani online in un periodo (2007-2012) in cui l'utenza Internet è aumentata. Se le cose stanno così, c'è da preoccuparsi molto più di quanto non debba preoccupare il dato dei quotidiani in generale (-16,2% dal 2007 al 2012).
Cosa è successo perchè calasse il numero di lettori di quotidiani online mentre aumentava il numero di utenti di Internet? Cosa è successo in Rete negli ultimi cinque anni? La risposta (almeno una delle possibili risposte) la conosciamo tutti: i Social Network! Considerando Facebook, i dati sempre aggiornati di Vicenzo Cosenza ci dicono che, in Italia, siamo passati da 216,000 iscritti del Gennaio 2008 a 22,424,380 iscritti del Settembre 2012 (cioè un salto di quasi il 40% nel periodo 2008-2012).

Nel rapporto si dice che, anche in virtù di un aumento degli utenti di siti web di informazione che non fanno capo a testate giornalistiche, non è il bisogno di informazione ad essere diminuito, ma sono cambiate le strade percorse per acquisire le informazioni. Quindi, se il calo dei lettori dei quotidiani fosse dovuto (anche) al proliferare dei Social Network, si potrebbe concludere che queste nuove strade passano attraverso la discussione abilitata sulle nuove piattaforme sociali. Ma è una conclusione troppo immediata e semplicistica che non tiene conto della complessità del fenomeno.

Il Censis/Ucsi ci offre una conclusione di tenore diverso. Nel rapporto, in riferimento alle strade alternative per l'approvigionameto di notizie, si dice che "spesso si tratta di semplici aggregatori di notizie prelevate da organi ufficiali di informazione. Il problema è che hanno successo nella misura in cui si adeguano alla tendenza diffusa tra i navigatori della rete di personalizzare non solo l’accesso alle fonti, ma anche la selezione dei contenuti di informazione. Si può arrivare a creare su ogni desktop o tablet un giornale composto solo dalle notizie che l’utente vuole conoscere. Precisamente il contrario del ruolo che storicamente ha svolto la stampa, quello cioè di formare un’opinione pubblica che esprime pareri diversi ragionando sulle stesse cose. È questo il rischio di solipsismo di Internet: milioni di persone sull’intero pianeta continuamente connesse tra loro e rivolte contemporaneamente verso se stesse, in definitiva secondo un meccanismo di introflessione; la rete come strumento nel quale si cercano le conferme delle opinioni, dei gusti, delle preferenze che già si possiedono; il conformismo come risultato della autoreferenzialità dell’accesso alle fonti di informazione." (con le sue osservazioni, il Censis, offre molto materiale di riflessione)

Dov'è la verità? Come sempre, credo, nel mezzo. Come dice Michele Polo nel suo ultimo libro, si perde quando si vuole rubare troppo tempo all'utente. I Social Network offrono una opportunità all'informazione mordi e fuggi ma anche una ghiotta occasione per discutere. Quanto sia pericolosa questa modalità di fruizione non lo so dire. Con forza, invece, torno a dire della necessità di guardare il problema anche da un punto di vista pedagogico.

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